martedì 27 ottobre 2015

Biagio Cepollaro,Una certa idea di verde, 2015





Biagio Cepollaro, Una certa idea e pratica di verde, 2015.

Si tratta di una mostra che comprende 19 opere che si
inaugura il 21 novembre 2015  a Napoli,
presso lo spazio di Ilia Tufano, Movimento Aperto in via Duomo. La cura è di
Eugenio Lucrezi , estensore di un testo critico.Il titolo dice come è nato
questo ciclo di opere: dalla casuale mescolanza tra il pigmento bruno scuro di
Kassel con il giallo primario ad olio. Tutto il resto che ne è seguito lo vedo
come un leggero e gioioso corollario di questo felice, quanto imprevisto,
incontro tra due materie.

Una certa idea e pratica del verde
di Eugenio Lucrezi
Biagio Cepollaro è poeta da sempre, artista visivo da meno
di un decennio. Le due attività si iscrivono tuttavia in un solo percorso, che
è quello del lavoro iconopoietico delle origini, certificato da Aristotele
nella Poetica e praticato dai folti eserciti dei pittori e dei poeti, schierati
nel volgere dei secoli, gli uni al fianco degli altri, sotto le insegne della
mimesi e della produzione di figure. Finito quel tempo, che ha visto la pittura
e la letteratura, nonché la musica, variamente sbizzarrirsi nel riprodurre gli
speculari paesaggi della natura e dell’interiorità, è arrivata la modernità,
segnata dall’arretramento del soggetto e dalla destituzione dell’Io psichico;
la cui possanza è stata rapidamente sopravanzata e annichilita dall’onda
irrefrenabile della vociferazione globale, estatico trionfo e insieme messa
funebre dell’anomalia umana. A fronte di tale frastuono, sta e tace il Vuoto
centrale della Cosa impossibile e reale (Lacan), attorno al quale organizza gli
attrezzi l’artista contemporaneo, depositario del lascito delle Poetiche dello
Stile che fu: eredità di senso indefinito e indecidibile, che per rarefazione
dei contesti e in disseminazione sporadica si fa spazio – regno – del significante.
Che più non è luogo di emanazione dei significati a venire, ma segno opaco e
splendente che nella fuga dei tempi si è lasciato alle spalle quelli trascorsi.
Che fa dunque un poeta che si vuole pittore nell’era della
fine della raffigurazione e del tramonto dello Stile? Cepollaro non si
dimentica della Storia, ne abita le macerie e riparte, appunto, dalla
catastrofe del senso. Nella sua pratica scrittoria ha sperimentato − nelle
redazioni delle più importanti riviste dell’avanguardia, da Altri termini
a  Baldus; nel lavoro teorico svolto con
i sodali del Gruppo 93 − gli ambiti di praticabilità del discorso letterario.







Oggi, tra partita persa dell’umano e partito preso delle
cose (Ponge), posiziona il suo fare pittorico in prossimità della Cosa muta ed
opaca, significante che può di nuovo parlare, emanare senso, proprio per forza
di levare, in virtù d’esautoramento della possanza dell’artefice. Una certa
idea e pratica del verde è il racconto di questa esperienza, nella quale il
pensare e l’agire artistico si trovano a coincidere: nell’avvicinamento
accurato ai materiali da conoscere; nell’energia dell’interazione che mira a
trasformarli. Ne sortiscono scritture che non tengono a mente il significato, e
campi di colore che mutamente brillano. Le opere in mostra sono su tela,
talvolta con pannelli telati applicati, talvolta con carta o con garza
incollata. I materiali utilizzati sono il cemento, quasi sempre con pasta
colla, talvolta l’acrilico, più spesso tempere al tuorlo d’uovo approntate
dall’artista con pigmenti, secondo le antiche ricette del Cennini. Il colore a
olio è impiegato in misura più modesta. Le superfici vengono incise, graffiate
e iscritte con spatole dentate, taglierini e altri attrezzi. Il verde del
titolo risulta dalla combinazione della tempera costruita con i pigmenti del
bruno scuro di Kassel con il giallo primario ad olio: la mescola dà quel verde
brillante in alcuni tratti. Intorno a questo processo che origina il verde gira
il maggior numero dei lavori: la cura della Cosa impossibile può toglierle
mutezza; il segno opaco può farsi splendente.